La città, specie quella mediterranea, è caratterizzata,dall'essere luogo di incontro e di scambi, in contrasto con l'isolamento delle campagne e delle zone impervie o desertiche.La piazza, il mercato, le vie, le chiese costituiscono punti di aggragazione e di formazione dell'identità collettiva.Ogni città, tuttavia, si trova inserita in uno specifico ambiente naturale, geo-morfologico, che ne determina la vocazione e la storia.Di questo suon habitat deve poter far l'uso migliore, salvaguardando o incrementando le risorse.La città è,a sua volta,incastonata nel cosmo, tanto che gli antichi cercavano nella politica di avvicinarsi al perfetto ordine dei movimenti celesti.La concordia era la virtù civica che esprimeva questo concetto, quell'atteggiamento che permetteva alla comunità di durare, di stare, di essere appunto"stato"evitando di venir dilaniata dai conflitti.I conflitti non erano esclusi, ma regolati dalla reciproca persuasione e dall'arbitrato di un terzo.Oscurata in età moderna dal maggior peso attri buito ai fattori dinamici - come il "tumulto" e "la lotta di classe"- quali lievito dello sviluppo, l'idea di una convivenza tra diversi, di un reciproco rispetto e non di una passiva tolleranza, diventa di nuovo un'esigenza sentita.Soprattutto in democrazia, un regime che deve conciliare due esigenze contrapposte, che è, secondo la definizione di Luigi Einaudi "L'anarchia degli spiriti sotto la sovranità della legge".Questo bisogno di convivivenza è sentito soprattutto, oggi,in Occidente, dove l'immigrazione ha portato lo"straniero" a condividere il nostro stesso spazio e i nostri problemi.Ciò che era esotico e lontano è ora vicino,sta fra noi e con noi.Non vale rifugiarsi nella posizione che Dante esprimeva a proposito della sua Firenze dove già "lo villan d'Aguglione e quello di Signa" erano degli estranei pericolosi: "sempre la confusione de le persone/principio fu del mal de la citade". Oggi questo isolamento è finito e "i piccoli mondi chiusi" vanno scomparendo. I mezzi di comunicazione di massa materiali (treni, navi, aerei) e immateriali (radio, televisione, internet) inseriscono ogni luogo in una rete globale che condiziona l'economia,la società e la cultura.Il russo termine mir,che significa,insieme, villaggio e mondo - perchè l'orizzonte del villaggio era per le vecchie generazioni il loro mondo - rimane come un fossile di forme di vita estinte. La retorica della "globalizzazione" e del"multiculturalismo" ci impedisce spesso di cogliere la complessità delle questioni che essi pongono, dei vantaggi e degli svantaggi.Solo un atteggiamento sobrio e responsabile aiuta a rendersi conto delle distorsioni subite dalle precedenti forme di vita, degli squilibri economici e sociali, degli spostamenti di massicci blocchi di potere,nonchè dei relativi sentimenti e risentimenti che ogni grande processo innovativo inevitablmente imtroduce e comporta.Dobbiamo chiederci se la rinascita dei cosiddetti"particolarismi" e "localismi" non costituisca,almeno in parte,una formazione reattiva all'inserimento di indi vidui, ceti e popoli nel reticolo a maglie sempre più strette (e per alcuni opprimenti) dei rapporti mondiali di interdipendenza e di comunicazione. Si alimenta, infatti in coloro che sono meno"attrezzati" o meno disposti a sintonizzarsi con tale sistema altamente integrato,un acuto e doloroso senso di inferiorità, si fomenta indirettamente il ripudio di una omologazione imposta,il sospetto di un'ingiusta retrocessione, la certezza di una perdita di sovranità e di ruolo nell'arena internazionale.Si reagisce così, "per eccesso di legittima difesa", mediante il rafforzamento sproporzionatamente compensativo della propria identità ritenuta minacciata o disprezzata.Ne consegue la chiusura in se stessi e l'auto-esaltazione dei propri valori, fedi e costumi tradizionali, l'esibito trionfalismo riguardo alle proprie "radici" nazionali e religiose. In molte popolazioni e culture che siamo abituati a considerare fanaticamente"integraliste"(non senza buone ragioni,ma spesso senza alcun tentativo di comprenderle e senza
neppure guardare alle travi nei nostri occhi) si avverte la manfestazione di una sorta di amore tradito e respinto, l'ira luttuosa per non essere stati davvero coinvolti,con pari dignità, nei grandi progetti geo-poltici di modernizzazione, quelli capaci di creare prosperità e oppurtunità più uniformemente distribuite.Un tratto dominante dei drammi attuali consiste appunto nella divaricazione tra processi centripeti di globalizzazione e processi centrifughi di isolamento, nello strabismo tra integrazione e frammentazione.Proprio mentre crescono (in astratto e in concreto) le possibilità di interscambi fruttuosi, aumenta con pari o maggiore intensità lo sforzo di alcuni paesi e culture teso a svincolarsi dall'abbraccio di un'integrazione planetaria, che si rivela ostile o banalizzante.Mentre il mondo si "restringe" in quanto le sue parti entrano in una più fitta trama di rapporti, si radicalizza,per contro,la volontà di separazione dal suo contesto da parte di molti popoli,culture e sub-culture. Si crea una mi
scela esplosiva di risentimenti verso le potenze egemoni, di orgoglio etnico, di fanatismo religioso, di terrorismo.L'opposizione pura e assoluta tra culture locali irrelate e globalismo monolitico è tuttavia insostenibile. Avvengono infatti - nel bene e nel male - raccordi, interferenze, intersezioni di piani, innovazioni impreviste, compensazioni quasi sempre a doppio senso: dal locale al globale e dal globale al locale.Le città possono diventare un laboratorio sperimentale di nuove forme di convivenza in un mondo globalizzato dove s'incrociano mentalità,religioni,usanze e leggi diverse.In questo senso, Carrara può fornire -sul piano culturale- attraverso questa iniziativa un suo contributo importante.
Remo Bodei
Direttore Scientifico del Festival
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